Nosound - Scintilla


 

“Post-progressive sounds”

Se la Kscope dovesse scegliere un gruppo che meglio di ogni altro rappresenti con la propria musica il suo slogan, probabilmente sceglierebbe i Nosound.
Da ormai infatti quindici anni la band italiana, capitanata dal cantante e chitarrista (nonché compositore, produttore e tecnico del suono) Giancarlo Erra, propone un sound raffinato e sofisticato, influenzato dal post-rock di band come i Sigur Ros e dal prog meno cervellotico e più emotivo dei Pink Floyd e dei primi Porcupine Tree, ottenendo un ottimo successo di critica e un discreto e sempre più in aumento interesse di un pubblico esigente e dal palato fine.
A tre anni di distanza dall’ultimo lavoro in studio Afterthoughts, e a più di un anno dal live Teide 2390 (in tutti i sensi il punto più alto toccato da Erra e compagni fino a questo momento), il prossimo 2 settembre uscirà Scintilla, quinto full length della band, a detta dello stesso leader - che ha accompagnato l’attesa dei fan con un esaustivo “diario di viaggio” su Facebook in cui ha analizzato ogni singola canzone - un album diverso e difficile, che può non arrivare all’ascoltatore al primo momento ma di cui è altresì estremamente orgoglioso, ritenendolo il migliore della propria carriera.
E, avendolo ascoltato in anteprima, non possiamo che dargli ragione.   
L’opening Short Story racchiude subito nei suoi due minuti e mezzo il significato complessivo e il senso di fondo del titolo dell’album: un inizio in sordina, con un progressivo accavallarsi di strumenti che avanzano in una cavalcata che, proprio come una scintilla, subito dopo l’esplosione si affievolisce in un nulla di fatto, lasciando interdetto l’ascoltatore che tuttavia viene così invitato ad immergersi completamente nel resto dell’opera.
Le successive Last Lunch e Little Man confermano quello che da qualche anno ormai è il trademark musicale dei Nosound, lontano dagli infiniti strumentali di Sol29 e con lunghe e strutturate parti cantate dove Erra narra, quasi come un aedo, di rimorsi, ricordi e rimpianti, sorretto da una mai così coesa partnership strumentale in cui risalta, così come in realtà anche nel resto dell’album, il cello di Marianne De Chastelaine, ormai qualcosa in più di una semplice collaboratrice esterna.
Proprio quando sembra che la direzione dell’album sia tracciata, ecco che Erra e compagni stravolgono completamente tutto, elevando a livelli mai raggiunti in precedenza il tasso qualitativo non solo di Scintilla, ma probabilmente di tutta la discografia fin qui prodotta dal gruppo.
In Celebration of Life è, infatti, un colpo profondo nell’animo e nel cuore di chi ascolta, un brano struggente ma speranzoso, con Erra e Vincent Cavanagh degli Anathema ad intonare all’unisono, dopo una prima, lenta e sognante parte strumentale, l’inno alla vita scritto da Alec Wildey, ragazzo polacco scomparso a causa del cancro e con le cui parole avevano già collaborato Steven Wilson e Mariusz Duda per il singolo, venduto a scopo benefico, The Old Peace, nella chiusura quindi di un cerchio che vede i suoi quattro musicisti preferiti collaborare nel suo nome e per la sua memoria.
Fantastici l’assolo di Erra, che qui conferma di essere pur sempre un eccellente chitarrista, e la chiusura del brano con il cello e la chitarra acustica di Paolo Vigliarolo che ci chiedono di guardare avanti e proseguire nel viaggio della nostra vita.
E con noi anche Scintilla prosegue il suo viaggio, regalandoci subito la sua seconda gemma, Sogno e Incendio, ballata per pianoforte con testo, enigmatico, ermetico ed evocativo, scritto e cantato - in italiano - da Andrea Chimenti e con, ancora una volta, due assoli degni di nota da parte di Erra.
Il disco si mantiene su ottimi livelli con Emily, a detta di Erra la sua canzone preferita dell’album, nonché la migliore della carriera della band, una piccola gemma di poco più di tre minuti che parla di un personaggio - Emily, appunto - che rappresenta per il musicista romano lo “specchio di un personale sentimento di sentirsi perso” e “la persona ideale per conoscere tutti gli aspetti del mio passato”. 
Anche qui, ancora una volta, e mai forse ci stancheremo di dirlo, risalta più di ogni cosa il cello della De Chastelaine, che dimostra sempre di più di essere incisiva e decisiva nel rendere migliore Scintilla, esattamente come nella successiva The Perfect Wife, brano sin dal titolo enigmatico, che alterna dolci arpeggi e momenti di illudente calma ad un potente ritornello in cui ogni piccolo barlume di luce percepito dal nostro istinto di sopravvivenza nei confronti di una realtà che è invece distorta viene completamente spazzato via, lasciando spazio solo al nostro dolore e alla nostra rabbia.
Perché spesso chi causa dolore ne è indifferente e non sente colpe, chi ne è colpito, invece, resta da solo e maschera la sua situazione in atteggiamenti che altro non sono che un goffo tentativo di nascondere ciò che veramente sta provando, tematica centrale della minimalista e sarcastica Love Is Forever, canzone dedicata a tutti coloro che palesano sui social una vita perfetta a discapito del demone che si trova all’interno della loro anima.
Segue la dolce ballata Evil Smile, brano sostenuto dalla batteria di Giulio Caneponi (all’esordio in studio con i Nosound) e dall’acustica di Vigliaroli, la quale introduce la conclusiva title-track Scintilla, la quiete dopo una tempesta di emozioni e ricordi che, dolci o amari che siano, faranno per sempre parte di noi ma a cui non dobbiamo abbandonarci.
Scintilla è un disco difficile più emotivamente che musicalmente, perché fa pensare a tutto quello che nelle nostre vite c’è stato e non c’è più, eppure non si ferma ad essere una misera autocommiserazione, anzi nasconde nel finale il suo vero messaggio di fondo.
Perché  quando la voce di Erra lascia spazio ad un pianoforte e ad un insieme di fiati e tamburi che introducono una marcia che finalmente trasmette serenità, non possiamo fare a meno di pensare che non possiamo più guardarci alle spalle, ma che dobbiamo ripartire, guardare avanti e vivere.
Perché, in fin dei conti, la vita altro non è che un susseguirsi di vicende e di emozioni in un lasso spazio-temporale estremamente limitato se rapportato al sistema di riferimento, quel mondo immenso all’interno del quale dobbiamo trovare trovare il nostro posto e il nostro significato.
Perché, in fin dei conti, la vita altro non è che una scintilla.

 Review by Marco del Longo

Scintilla tracklisting

1. Short Story
2. Last Lunch
3. Little Man
4. In Celebration of Life
5. Sogno e Incendio
6. Emily
7. The Perfect Wife
8. Love is Forever
9. Evil Smile
10. Scintilla



Kscope/ Burningshed: 2 LP // CD + Blu-ray // iTunes


Lavori precedenti

Nosound – A Sense of Loss


A Sense of Loss, terzo disco dei romani Nosound, rappresenta la maturazione. Dopo i primi esperimenti solisti di Giancarlo Erra, culminati nell’album Sol29 (2005), e la costituzione di una band vera e propria, che con Lightdark (2008) si è imposta come una delle più interessanti realtà italiane, con A Sense of Loss i Nosound acquisiscono una personalità che nei lavori precedenti non era ancora pienamente matura. Fin dalle prime, eteree, note del disco si percepisce una rielaborazione maggiormente personale della proposta, a cavallo tra ambient, rock progressivo e post rock. Atmosfere sospese, come una fitta nebbia autunnale, dal sapore vagamente onirico e psichedelico. La lezione è sempre quella dei primi Porcupine Tree e dei No-man, ma la sensibilità con la quale Erra tratta la materia sonora è personale, e completamente matura. Un tappeto fluttuante di synth, tastiere e archi che creano uno strato sonoro compatto ma mai pesante, nel quale penetrano delicati arpeggi chitarristici e malinconiche note di pianoforte. La sensazione è quella di vagare, senza una meta precisa, in una città solitaria e resa gelida da una leggera nebbia. In alcuni momenti una luce si accende in una casa, e sembra guidarci con il suo calore, ma niente è ben definito, e ci perdiamo nuovamente. Le melodie sono bozzetti che scivolano senza farsi afferrare completamente, e donano un senso di incompiutezza che rende questo lavoro ancor più affascinante e misterioso.
L’incipit è delicato e fragile, l’atmosfera è straniante, e fin da subito ci sentiamo persi nel lungo accordo iniziale. Some Warmth into this Chill, brano d’apertura, mette da parte la ricerca di una melodia portante, in favore di un’analisi delle atmosfere, e raggiunge il suo culmine in un breve assolo pianistico che ricorda lo stile di David Sylvian.
Con la successiva Fading Silently veniamo introdotti in un universo che scorre al rallentatore, e le melodie risultano più riconoscibili e di facile approdo. Il brano ha come struttura portante un affascinante arrangiamento sinfonico che perfettamente si abbina alle poche e calibrate note di pianoforte, dimostrando la capacità della band di creare arrangiamenti complessi ma mai pesanti, e perfettamente funzionali alle necessità comunicative dei brani.
Tender Claim richiama più esplicitamente lo stile psichedelico dei Porcupine Tree di Steven Wilson, principale fonte d’ispirazione per la band. Ma i Nosound rielaborano il pop sinfonico dai sapori psichedelici con una maturità decisamente superiore rispetto al passato. Come il precedente, anche questo brano nella seconda parte scorre strumentale, ma in questo caso per perdersi alla deriva di un tappeto ambient davvero affascinante.
My Apology si dimostra un brano più terreno, guidato da un bellissimo arpeggio di chitarra e dalla voce di Erra. Gli strati sonori si assottigliano in questa ballata malinconica, che mantiene comunque l’atmosfera crepuscolare e vagamente onirica del resto dell’album. La voce di Erra convince, con il suo incedere lento e profondamente ipnotico, ma forse il timbro non è abbastanza intenso e caldo, naturale, e risulta un piccolo difetto in un disco decisamente riuscito.
Constant Contrast suona come una silenziosa meditazione dei Bark Psychosis, e nella sua ipnosi malinconica risulta ricca di particolari che si intrecciano perfettamente senza mai accavallarsi. Rarefatta, ricca di spazi vuoti, è un momento cruciale del disco. Un sogno che scivola nella nebbia umida che avvolge l’album, un passaggio senza il quale non potremmo entrare nella lunga suite finale.
I 15 minuti di Winter Will Come sono il cinematografico capitolo finale dell’album. La surreale nebbia onirica che ci ha guidati fin qui, si sviluppa e si trasforma in una nuova consapevolezza, si apre mostrandoci tutto più chiaramente, con lucidità. Questo non attraverso facili e immediate melodie, bensì grazie ad un’evoluzione delle atmosfere che si fanno qui più luminose e calde, e ci indirizzano lungo una strada definita che è la struttura del brano, a metà tra rock progressivo e post rock. C’è un senso di quiete, di pace, che intravediamo più chiaramente dietro il velo di nostalgica malinconia. Un finale epico ma non ridondante, che ricorda i Sigur Ros per i suoi crescendo, le sue lunghe pause, e le ripartenze. La nebbia si è diradata, e la sensazione è quella di trovarsi su una spiaggia deserta, in autunno, assaporando il calore dell’ultimo Sole, prima dell’esplosione di un nuovo, gelido, inverno. Una distorsione irrompe possente, accompagnata ancora una volta dagli archi, e la canzone si spalanca, meravigliosa, prima di accartocciarsi e prendere nuovamente fiato. Un passaggio che carpisce ancora una volta linfa vitale dalla musica d’ambiente, prima delle battute finali, epiche e drammatiche.
Se già il precedente Lightdark dimostrava una band capace di comporre ottima musica, A Sense of Loss non solo è la conferma di tale capacità, ma è un decisivo passo in avanti per quanto riguarda la sviluppo della personalità. Manca forse ancora la maturità necessaria per comporre melodie portanti efficaci da innestarsi sui meravigliosi tappeti ambient, ma forse è proprio questa incompiutezza che dona maggior fascino ad un album straordinario, in grado di miscelare con sapienza arrangiamenti complessi ed emozioni intime, senza mai perdere intensità.

Riccardo Tognini


Disc 1 - CD

1. Some Warmth Into This Chill (7.55)
2. Fading Silently (8.27)
3. Tender Claim (8.07)
4. My Apology (5.41)
5. Constant Contrast (5.42)
6. Winter Will Come (15.39)

Disc 2 - DVD

5.1 surround and 24bit mixes of the album, alternative 'long guitar solo' version of Fading Silently, video and video footage, picture gallery and more.



Nosound - Live


A seguito dell'uscita del loro ultimo album, il gruppo dei Nosound capitanato da Giancarlo Erra, che incide per la prestigiosa etichetta londinese KScope, che annovera tra le sue fila Steven Wilson, No Man e Engineers, si esibirà in un concerto esclusivo in cui presenterà per la prima volta in Italia l'ultima fatica A sense Of Loss, all'X Roads club di Via Braccianese (Roma, Osteria Nuova) il 12 Febbraio 2010. Info più dettagliate su greenticket per l'acquisto di posti riservati per assistere allo show vicino al palco al costo di 10 € + 1,5 € di prevendita, nonchè al soundcheck, incontrare la band, ottenere il badge della serata, e alla possibilità di scaricare gratuitamente una traccia del nuovo album.


Nosound - Recensione Live @ X Roads

Strepitoso concerto dei Nosound, quello di ieri sera all' X Roads alle porte di Roma. Un grande palcoscenico ma al limite se non fin troppo stretto per Giancarlo Erra più altri otto musicisti, di cui quattro sono il bassista Alessandro Luci, il secondo chitarrista Paolo Vigliarolo, il batterista Gigi Zito ed il tastierista Paolo "Barbieri" Martellacci, che completano i Nosound, accompagnati da quattro belle ed altrettanto brave ragazze del Wooden Quartet che sono: Melania Maggiore 1° violino, Ludovica Alberti 2° violino, Roberta Rosato alla viola e Irene Maria Caraba al cello. Dietro la band uno schermo gigante con lascritta Nosound, dal quale ci si apetta un video prima o poi, che purtroppo non arriverà, seppur la band ne ha di bellissimi. Non poteva essere un concerto di basso livello, con nove artisti professionisti su un palco. Pur non conoscendo i pezzi e la musica dei Nosound, da subito, si poteva intuire che ci sarebbe stata un'atmosfera particolare ed il pubblico, oltre 150 persone, era molto presente e attento addirittura pretendeva il silenzio, perchè la protagonista doveva essere "lei" la musica. Le nuove e fredde luci a led di cui il palco è dotato, fanno da sfondo ad e si contrappongono ad uno scenario che invece è caldo e rassicurante. Il concerto viene suddiviso in due parti dove nella prima parte Giancarlo presenta i pezzi del nuovo album A Sense of Loss, mentre nella seconda si susseguono i brani degli album precedenti Lightdark e Sol 29, c'è spazio anche per un bis di altri due brani per un totale di quasi due ore e mezzo di musica, piacevole e per nulla stancante, nonostante le numerose parti strumentali in cui le tastiere di Paolo bene si inseriscono e confondono agli archi del Wooden Quartet, a volte si fatica a riconoscere dove finiscono le tastiere ed iniziano gli archi e vicecersa, archi che sul finale diventano cinque, quando Giancarlo ne impugna uno ed inizia a suonarci la chitarra, ora sembra quasi un live dei Sigur Rose! Spesso i brani sono scanditi anche dagli inconfondibili assoli di chitarra i cui suoni e scale ricordano fin troppo bene a quali band Giancarlo si è ispirato o per meglio dire quali chitarristi sono stati i suoi idoli tra i quali sicuramente David Gilmour e più tardi Steven Wilson, fino a raggiungere una maturazione dello strumento che oggi conntraddistingue il sound dei Nosound.

Evaristo Salvi


Nosound Are:

Giancarlo Erra: vocals, guitars, keyboards
Paolo Martellacci: keyboards, vocals
Paolo Vigliarolo: acoustic guitars
Alessandro Luci: bass guitar
Gigi Zito: drums, vocals



Graphic elements are from CSS Zen Garden theme by Pierre Antoine Viallon (Creative Commons license), Lasse Hoile and Porcupine Tree.